Luoghi, miti e leggende |
CASA BONI—Comune di Granaglione (BO) |
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Fòle
dar’contare a véglia
“Anca se fosser fòle…; Son blìne!” Per gentile concessione della Maria Vivarelli (la Maria di Silvano) possiamo pubblicare questi testi: note storiche, brevi racconti, descrizioni di luoghi e leggende che popolano la valle del Randaragna.Indice:
La Valle del RandaragnaValle indipendente, valle chiusa, valle che sopperiva ai suoi bisogni. Gli abitanti per anni ed anni avevano contato esclusivamente sulle loro capacità e non essendoci strade a valle i contatti con altre popolazioni erano rari e sporadici, per di più la neve rimaneva per mesi e la gente non si spostava vivendo così in un ambiente chiuso e poco incline al contatti esterni. In questo contesto gli abitanti avevano sviluppato capacità diverse secondo i bisogni rendendosi autosufficienti. La castanicoltura procurava una parte di cibo, grano marzolino, orzo, patate venivano coltivati sui campi a terrazzo costruiti dagli uomini sui declivi del monti. Castagne, grano, orzo e granturco venivano macinati nel mulini ad acqua. La forza dell' acqua in caduta faceva girare le macine in pietra, pietra locale Infatti ad Insfrada c'erano le cave delle macine e tuttora alcune giacciono abbandonate lungo il sentiero dove tutti possono vederle. Allo stesso modo, a valle, venivano esercitati i mestieri di clabattino, calzolaio, sarto. carbonaio, fornaio, falegname... e così anch'essa sopperiva al suoi bisogni. InsfradaPaese posto sul crinale del monte di Granaglione a mille metri di altitudine. È un agglomerato urbano risalente al 1100 costruito in pietra con un ampia visione della valle sottostante. Di questo luogo non si conoscono le origini e non si sa perché sia stato abbandonato, ma una cosa è certa: sotto il paese lungo il pendio del monte sono stati ricavati tanti campi a terrazza, sorretti da muri a secco ( tipo di muratura fatta di sole pietre senza l'apporto di alcun legante cementizio o simile). L'ampiezza di questI terrazzamenti fa pensare ad un grosso lavoro da parte dell'uomo perché la terra che riempie i terrazzamenti veniva tutta portata a mano dagli uomini, questo lavoro durò sicuramente del secoli. Sicuramente fu una postazione celtica diventata poi Matildica. CattempestaVicino a Casa Boni c'è una località chiamata Cattempesta. C'era un mulino, del quale ancor oggi si possono vedere le macine, ed una casa... la casa di Tempestino, uomo avido, gretto ed avaro. Egli possedeva un paiolo di rame pieno di marenghi d'oro, era quindi molto ricco ma altrettanto malfidente, così decise di nascondere il tesoro in un buco del muro e lo chiuse intonacando la parete. Morì, e siccome aveva sempre vissuto nella povertà al limite dell'indigenza nessuno pensò di cercare il tesoro. Passò il tempo e Vidio ereditò il castagneto. Un giorno mentre scavava nelle rovine della casa di Tempestino trovò il paiolo pieno di marenghi, lo prese in mano, sono ricco pensò in quel momento ma le monete d'oro si trasformarono in bordigoni (calabroni). Questo si raccontava alle veglie intorno al fuoco del caniccio, la morale in fondo è: la farina del diavolo diventa crusca! n.d.r.: Quasi due secoli fa, gli Stati Europei stabilirono
con l'UNIONE MONETARIA LATINA, la parità monetaria fra gli stati, per
cui le monete, pur mantenendo la propria individualità per l'effige del
regnante e per lo stemma al rovescio, dovevano mantenere inalterato il
peso e la quantità di metallo fino in ogni moneta. Per le monete auree
veniva stabilito che pesassero grammi 6,45 con un titolo di 900/1000;
per il diametro si varia dal 23 mm. al 21 mm. . Tali monete vennero
chiamate dalla popolazione MARENGHI In analogia ad una moneta coniata
nel 1801, anno 9 del calendario repubblicano francese, coniata per
celebrare la vittoria del francesi sugli austriaci nella battaglia di
MARENGO. La convenzione latina durò fino alla prima guerra mondiale,
successivamente si continuarono a coniare Marenghi ma scambiati per più
del loro valore nominale. Il Cesto dell'amorePittoresco misterioso e magico luogo nella piana di Monte. Cavallo, meta di tutte le coppie innamorate della valle del Randaragna. Era consuetudine fare una "scampagnata" al cesto per tutti gli Innamorati perché nella credenza popolare portava fortuna alle coppie trascorrere una giornata all'interno del magico cerchio di faggi; sedersi sulla sedia formata da due tronchi secolari significava avere una vita di coppia felice serena e ricca di figli, ciò avveniva di solito nel mese di Agosto. Il cesto dell' amore era formato da tanti faggi secolari piantati sulla circonferenza di un immaginario cerchio con il tronco che dalla base si piegava formando una panca volta verso l'interno. Caro a tutti gli abitanti della valle, le sue origini si perdono nella notte del tempi. Si raccontava la sera, alle veglie, che questo fosse un luogo sacro per i Celti ed in particolare al dio Beltaine (letteralmente Beltaine significa "I fuochi di Bel", i quali venivano accesi in onore di Bel, Bell, Balor o Belenos, a seconda dell' area celtica) e che qui ogni tre mesi si tenessero gli incontri del vari clan celtici delle valli limitrofe per conoscersi, scambiarsi notizie, piaceri e festeggiare il 1° Maggio. Il primo di Maggio: la festa celtica dell'anno.Durante questa festa veniva tagliato un faggio ed i rami ricoperti dalle nuove foglie erano distribuiti tra i festeggianti. Il taglio dell'albero, il sacrificio di un animale domestico (pecora, gallina) erano offerte al dio Beltaine per avere raccolti abbondanti, protezione per gli animali domestici ed una vita di coppia serena e felice. Il
nostro primo Maggio.
È una festa notturna che inizia nella notte del 30 Aprile. Un gruppo di persone va di casa in casa paese per paese cantando la canzone del primo Maggio, quando la porta di ingresso delle abitazioni viene aperta in cambio del canto è data una offerta fatta di uova vino o salumi, dopo di ché ci si accomiata dal padroni di casa donando loro un ramo di faggio con un canto di ringraziamento. All'alba, quando il giro del paesi è finito, i cantori si ritrovano per cucinare una grossa frittata e finire in bellezza la notte. Questa è la continuità trasformata dagli anni e dagli uomini del primo Maggio che si festeggiava a Monte Cavallo. Le tre crociLa piana di Monte Cavallo è un crocevia di tante strade di crinale percorse (e tutt’ora percorribili) dagli antichi abitanti della valle durante i loro spostamenti, questi passando sul crinale del monti abbreviavano la distanza tra una valle e l'altra. È noto che la valle del Randaragna, come quella del Reno, era abitata da una numerosa popolazione .che aveva situato i suoi insediamenti quasi sui crinali dei monti. I piccoli borghi erano stati edificati in prossimità di sorgenti, in siti che disponevano di un ampio raggio visivo sulla valle sicuramente a scopo difensivo. Premesso questo la leggenda narra che all'inizio del settecento tre donne di Case Trogoni si Incamminarono per andare a Porretta Terme passando per la strada di Castelluccio. Giunte a Monte Cavallo furono sorprese da una tempesta di neve tardiva, era infatti la metà di Giugno. Le tre donne morirono così assiderate nella tempesta e a loro memoria furono erette tre croci di legno, le quali secolo dopo secolo solide come rocce sfidano il vento, il gelo ed il sole di questo luogo per ricordare quel lontano evento. Il rifugio di Monte CavalloIn seguito al triste evento delle tre croci si costruì una capanna adiacente al monte nel punto più riparato dagli agenti atmosferici: era nato il bivacco del Pellegrino. Questa costruzione era sempre lasciata aperta a servizio di tutti i viandanti In cerca di un riparo. Considerata l'altezza del passo e le frequentI bufere di neve che imperversavano durante tutto l'inverno fu sicuramente una cosa positiva per tutta la popolazione. La sosta al bivacco è regolamentata da una legge nata con il fabbricato stesso: rispettare l'ambiente, usare quello che si trova in caso di necessità, restituire ciò che si è preso alla prima occasione oppure lasciare qualche altra cosa. Regole rispettate ancor oggi da tutti. Castagneti Matildici Granaglione. Comune montano con 80% del territorio coperto da boschi e selve: Il comune più verde d’Italia. Nella valle del Randaragna questa caratteristica copre tutto il territorio, ci sono boschi di latifoglie, pinete e molti castagneti in quanto fino agli anni '60 la castagna fu il principale alimento del montanaro. Un po' di storia. Dal 1050 al 1100 il nostro territorio fece parte del grande Feudo di Matilde di Canossa, ereditato dal padre questo territorio si estendeva da Mantova ad Arezzo. La Contessa Matilde fu una grande e generosa donna che governò il suo feudo con intelligenza, intuito ed essendo presente sul suo territorio conosceva personalmente i problemi del suo popolo. Per spostarsi da Mantova a Firenze percorreva il passo di Monte Cavallo, strada più corta in quanto attraversando i monti da Modena scendeva direttamente a Pistola per proseguire verso Firenze. Con intuito ed intelligenza trasformò ettari ed ettari di selva in castagneti fruttiferi. Il clima adatto ed il suolo roccioso si prestavano perfettamente a questo tipo di coltura, furono così piantati castagni con un disegno ben preciso: ogni pianta distava l'una dall'altra dieci metri e queste declinavano in filari obliqui e paralleli lungo la parete del monte finendo nel fosso. Questa tecnica è tuttora chiamata impianto Matildico. In una terra impervia, scoscesa dove non esistevano campi e non si poteva seminare grano in abbondanza la castagna diventò l'alimento principale per il sostentamento della popolazione: in pianura c'era il grano, in montagna il castagno. Trasformato così il territorio si presentò un altro problema, infatti non c'erano quasi più piante da legname a sufficienza per sopperire al fabbisogno della gente. La Contessa mise a disposizione delle comunità ettari su ettari di macchia improduttiva alla quale potevano accedere tutti gli abitanti della valle e tagliare la quantità di legna necessaria al proprio bisogno durante l'anno, nacquero così le comunelle che ancor oggi esistono nella valle del Randaragna e precisamente nel Boschi di Burchio dislocati tra la località Poggio del Boschi e Monte Cavallo, qui esistono ancora castagneti a disegno matildico, testimoni unici e rari dell' operoso lavoro svolto dalla Contessa Matilde. Il castagneto. Giganteschi castagni dal tronco enorme si ergono massicci e poderosi, fieri del loro testimoniare, orgogliosi di aver visto secolo dopo secolo il passare della storia, contenti di aver sfamato anno dopo anno intere generazioni. Di rimando il montanaro li considerava oro puro perché erano la sua ricchezza ed aveva cura del castagneto come della famiglia: li potava e conosceva diverse tecniche come la scacchiatura o scacchimatura (la scacchiatura consiste nell'asportazione di germogli finalizzata al loro diradamento ed al riequilibrio dell'apparato aereo) ed esistevano veri propri maestri scacchiatori che potavano la pianta senza rovinarla, toglievano i polloni (la spollonatura è una operazione che riguarda i germogli sterili che possono sviluppare dal selvatico o dalla base del tronco, tali germogli vengono rimossi precocemente) nuovi cresciuti alla base della pianta impedendone così l’indebolimento che avrebbero provocato. Teneva pulito il terreno circostante da rovi, erba o nuove piante che crescendo avrebbero potuto soffocare i castagni (rimondatura) , ma soprattutto creava le roste, lunghi solchi scavati nel poco terriccio, paralleli alla fila del castagni, che avevano lo scopo di convogliare le acque piovane nel fossi impedendo così il formarsi di frane ma anche quello di rendere più agevole la raccolta delle castagne in quanto cadendo si fermavano nel solco invece di rotolare a valle. Nel solco si fermavano anche i cardi e le foglie cadute che marcendo durante 1'inverno concimavano il suolo mantenendo sani e in buono stato i castagni. Nella tarda primavera successiva si tornava a mettere a posto le roste rifacendo qui argini, togliendo i sassi e rastrellando verso i bordi foglie e cardi non marciti. L'arte di curare il castagneto è nel DNA del montanaro perché imparata al tempi di Matilde è stata tramandata di generazione in generazione fino al nostri tempi come scuola di vita. Il castagno era così importante che per lui si litigava e si moriva. Il racconto. Mi raccontava il nonno che due confinanti si contendevano un ramo che si estendeva sulla proprietà del vicino. Un giorno il proprietario della pianta vinto dall'ira segò il ramo. I confinanti erano due fratelli, uno era il parroco l'altro accudiva alle proprietà di famiglia, e non presero la cosa molto bene. Così il sacerdote disse all'altro: - Uccidlio tu. Così, poi, dopo in confessione ti assolvo. E così fu. Tutto questo per far capire come era importante il castagno, considerato la vita o la morte di una famiglia. Gli GnomiSono abitanti del boschi e delle selve dotati di una sapienza superiore a quella dell'uomo. Personaggi magici, bizzarri e molto longevi. sapienti conoscitori del sottosuolo conoscono la posizione di miniere d'oro e pietre preziose e di tesori nascosti nelle viscere della terra. Sapienti maghi e dotti conoscitori delle proprietà delle erbe e del minerali, sono amici degli animali con i quali condividono l'ambiente conoscendone il linguaggio, scambiano metodi di vita notizie e favori, il lupo è loro caro amico. Vivono nella nostra valle perché incontaminata, ricca di sorgenti di acqua pura e sopratutto di stupendi, verdi ed immensi boschi. Da bambina mi raccontavano una favola che vi voglio far conoscere. La favola. Viveva nella nostra valle una donna di nome Orsola, vedova e con cinque bambini da allevare. Era sola al mondo e poteva contare solo su sé stessa e i suoi bambini. Raccoglieva la legna per l'inverno, seminava l'orto, accudiva qli animali domestici ed in autunno raccoglieva le castagne alimento principale della valle. I bambini crescevano e avevano sempre più bisogno di cibo e cure così Orsola lavorava sempre di più. Di sera, messi a dormire i figli, Orsola filava la lana o tesseva strappando ore al sonno e all'alba si rialzava per ricominciare la giornata. Il troppo lavoro e preoccupazioni la fecero ammalare e quando riuscì ad alzarsi dal letto erano finite le scorte di cibo e di farina di castagne e soprattutto la neve copriva i boschi. Era arrivato l'inverno e i bambini non avendo nulla da mangiare piangevano dalla fame, allora Orsola prese un paniere in mano e si incamminò nel bosco per cercare qualcosa di commestibile da mangiare. Camminava nella neve alta, scavava alla ricerca di castagne e radici ma tutto era gelato e lei non trovava mente. Si mise a piangere disperata e i suoi bambini rischiavano di morire, finché ad un tratto una voce decisa la chiamò: Orsola! Non piangere, quello che cerchi è nella Grotta delle Fate, vieni con me! Un ometto piccolo piccolo seduto su un rametto di pungitopo la guardava con due occhietti ridenti, un buffo cappello gli copriva la testa, stivaletti e giacca lo riparavano dal freddo. -Vieni!- Le disse saltando In groppa al suo amico lupo, e così questa strana processione si avviò con in groppa un omino che si reggeva al pelo del suo collo e una donna stupita che li seguiva pensando di sognare. Arrivarono alla Grotta delle Fate sopra al paese di Nibbio. L'inqresso era una piccola fessura nella roccia, non si notava neppure, ed Orsola non riusciva ad entrare fino a quando Tomo, così si chiamava il piccolo gnomo, quando un sasso al piedi della fessura fece ruotare un grosso macigno e la donna entrò. Camminò lungo un cunicolo buio fino ad una q rotta più grande e vide con immenso stupore che era adibita a dispensa. Sacchi di farina di castagne, castagne, noci, nocciole e miele erano accatastati in grandi quantità e poi ancora patate e tutto ciò che si poteva conservare per l'inverno. Per lo stupore, la gola o forse per la fame Orsola svenne e quando riaprì gli occhi si accorse di essere in casa. La cucina era piena di cibo e i bimbi mangiavano felici noci e miele, Tonio e tutti gli gnomi della valle le avevano riempito la casa di provviste per l'intero inverno. La storia di Orsola circolò nella valle e tutti scoprirono così l'esistenza di questo popolo magico buono e generoso. Ancora oggi quando un montanaro ha un problema va nel bosco, si siede vicino ad un ruscello ed aspetta: prima o poi una gnomo arriva e lo aiuta a trovare la soluzione. La fame, la golaIl nonno Fortunato era nel casone del suo castagneto (Casone del Vento) e coceva nel paiolo la polenta. Durante la raccolta delle castagne viveva nel casone risparmiando così il tempo del viaggio e facendo la guardia al sacchi pieni di castagne ammassati nel piccolo edificio (castmidura, veniva chiamato così il periodo di raccolta). Stava rovesciando la polenta pronta sul tovagliolo quando bussarono alla porta. Aprì e disse: - Buongiorno Romano! Vuoi una fetta di polenta? Fermati a mangiare con me. - Romano, abitante di casa Boni e amico del folletti che lo facevano camminare veloce come vento, gli rispose: -Grazie Fortunato, ho proprio fame.- -Ti do anche il formaggio, aspetta.- Il nonno tagliò una fetta di formaggio e si girò per dargliela. ma Romano non c'era più. -La polenta è fame, il formaggio è gola!- disse Romano andandosene. Allora il nonno andò sulla soglia della porta per chiamarlo, lo vide lontano due chilometri sull'altro poggio del monte che volava verso casa insieme ai suoi folletti. La polenta toglieva la fame, Il formaggio era peccato di gola.
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